L'acqua del lago non è mai dolce

In quasi dieci anni mi è successa veramente la qualunque. Ho firmato un contratto con una casa editrice e quella me l'ha stracciato illegalmente. Mi ha distrutto talmente tanto che pensavo che un desiderio di rivalsa potesse colmare un vuoto. Allora ho scritto un altro libro, aggressivo, violento, un po' gretto. L'ho sputato fuori così di getto, ma non l'ho mai fatto leggere a nessuno. Tantomeno l'ho mandato alle case editrici. Ho fatto come coloro che dicevo di disprezzare: l'ho lasciato dentro una cartella di un computer e mi sono raggrinzita. 

Una prugna. Orribile, non avete idea. 

All'università è stato un crescendo di disastri di cui non so se qualcuno si sia mai davvero reso conto. Me compresa. Ho stretto amicizie che non mi bastavano, desiderosa com'ero di una chissà quale notorietà. Alcune le ho abbandonate per riprenderle in futuro. Le ho lasciate sotto il cuscino in attesa di risvegliarmi. Altre le ho tagliate via, strappate, tirate come si fa con i colli delle galline. Erano nocive. Le coltivavo con la bile fino a che non diventavano groppi tanto grandi da doverli vomitare. 

Sono rimaste un groviglio di bitume. 

Poi sono finita in un cerchio magico, di cui ho scritto anche qui. Mi vedevo realizzata. L'ingenuità di chi pensa che altre persone possano salvarci. Di chi pensa che un'idea di dio possa salvarci. Ho cominciato a credere, pregare, andare a messa, mi sono chiusa nel silenzio di una sessualità non sbocciata insieme ad altre caste ragazze. Mi svegliavo la mattina e mi dicevo che ero felice. 

Le caselle erano disposte alla perfezione. Nessuno avrebbe potuto farmi del male. Ero protetta, elevata, ammirata, amata, invitata. Mi sentivo parte di qualcosa, di una casa. Non importava che trattassi male chiunque incontrassi fuori da quel maledetto movimento. Non importava nemmeno che non vivevo la vita vera, quella fatta di carne e pericoli, di sangue e sudore. 

Ero felice perché avevo cancellato le ragioni della sofferenza e mi sono resa apatica. 

Subdolo è stato quell'essere serpentino che pian piano mi ha fatto ripiombare nel dubbio. Che neanche lì fossi al sicuro. E poi la pandemia, un grande disastro, una tragedia, la mia salvezza. Una fuga dal mondo della bolla per ritrovarmi laddove mi ero sempre ripromessa di non tornare. Davanti a quel lago, quel lago di acqua amarissima. Lo guardavo ogni giorno e ogni giorno sognavo di valicarlo, scavalcare le colline, io piccolo animale dal tronco di donna e gambe da struzzo, piombare sul cemento vecchio della città. 

Il lago non è dolce, mai. Il lago non è mai dolce, ma se ti ci butti scopri che c'è. Se lo tocchi senti il freddo dell'acqua. Se lo bevi devi rigettarlo con forza. Se lo guardi a volte resti incantato, a volte sconvolto. Comunque è sempre fonte di malinconia. 

Però è autentico. 

Non mi è passata la voglia di scavalcare le colline. Non mi passerà mai la voglia di andarmene, perché fuggo per natura. Corro continuamente e sbatto la testa. Lì, però, non ci torno. 

Dove ho smesso di scrivere, di credere in me stessa o nei miei cari per credere in Dio, di avere un minimo di coraggio, di ascoltare il rock, di ridere, di fumare e bere se mi va, di baciare quanto e come mi va, di perdermi se ne avevo bisogno. No lì non ci torno. 

Là dove ho rinnegato il mio credo politico, il mio desiderio di aiutare, quel bilanciamento verso l'altro chiunque esso sia. Ero una ragazza atea e comunista. Non avevo idea di cosa queste parole significassero veramente. Adesso sono una donna atea e di sinistra. Ora conosco il peso delle parole e il mio sguardo è più saldo verso il futuro.  

La mia identità qui non è sconosciuta, non ci vuole nulla per trovarmi, ma io non ho niente di cui vergognarmi o da nascondere. Questa è la nostra forza, quella di tutti noi che scriviamo qui intorno: imporci come siamo è una sfida, non un ricatto. Sono caduta nella morsa del sistema settario di Comunione e Liberazione. Non ci torno.

Gli amici che mi sono rimasti sono qui, sui miei polpastrelli, incollati da un sentimento sincero. Li abbraccio e li tengo stretti. Se mai vi venisse un dubbio: non vi serve la gloria, non vi serve un posto da chiamare "casa". 

Ci servono persone che non ci vogliono diversi. Vi abbraccio e vi tengo stretti. Lì non ci torno. Qui, invece, resto da un decennio.

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